"Prête-moi ton grand bruit, ton allure si douce / Ton glissement nocturne à travers l'Europe illuminée". Era l'Europa in festa che, dicono, conobbe la dolcezza di vivere prima della rivoluzione. E a fissarla così, con occhi d'amore, dal finestrino di un Wagon-Lit, fu A.O. Barnabooth, alias Valéry Larbaud, poeta cosmopolita e patrono di una generazione letteraria plurinazionale. Oggi sappiamo che quell'Europa fu un mito, ma anche Barnabooth-Larbaud lo sapeva.
Pubblicato per la prima volta nel 1913, Barnabooth è il diario del viaggio che A. O. Barnabooth compie per tutto il vecchio mondo a bordo di un vagone letto. In questo personaggio un po' burlesco, snob e parvenu afflitto dal complesso del proprio denaro, cleptomane per noia, eternamente sedotto dalla bellezza di un alessandrino, di una teiera o dalle spalle di una donna, Valéry Larbaud ha raffigurato se stesso e i miti del suo tempo in maniera indimenticabile: un atto di esorcismo letterario che ha qualcosa di miracoloso, e che ne spiega l'improrogabile resurrezione.
Contemporaneo e amico di Valéry, di Gide, di Joyce, di Svevo, Valéry Larbaud (1881-1957) albergò sempre in sé due anime: l'insaziabile viaggiatore, proteso verso nuovi paesi e nuovi incontri, e l'aristocratico prosatore amante dell'opera raffinata. Unico erede di un ricco patrimonio famigliare dedicò la propria vita al viaggio e all'arte.