In una stanza di uno storico palazzo torinese, un uomo giunto al termine di un’esistenza tormentata e avventurosa ripercorre le vicende che lo hanno visto protagonista e testimone. Ex colonnello dell’esercito sabaudo, giornalista di fama europea, J.M. rivive così nella sua memoria gli eventi che hanno segnato il nostro Risorgimento, dai moti liberali del 1821 alla prima guerra d’Indipendenza, dalla spedizione in Crimea agli intrecci tra criminalità comune e politica, fino alla prima strage di Stato, legata al trasferimento della capitale da Torino a Firenze. Basato su diari e documenti d’archivio, questo fuilleton avvincente e serrato è qualcosa di più di un semplice divertimento d’autore.
Raccontando da un’angolatura particolare i fatti e i personaggi «che hanno fatto l’Italia», mostrandone i lati ambigui e sconcertanti, l’Autore riesce a dare un’evidenza inquietante al parallelismo tra le vicende della nascita dello Stato unitario e quelle che hanno inquinato la vita dell’Italia democratica del nostro tempo.
È solo comprendendo, al di là della retorica scolastica, come è nata male l’Italia di Vittorio Emanuele II e di Cavour, di Mazzini e di Garibaldi, che possiamo sperare di capire che cosa non funziona nell’Italia di oggi.
Non sono uno storico, tantomeno mi considero un romanziere. Raccontare, però, mi è sempre piaciuto e il mio mestiere di cronista è stato in sintonia con la mia voglia di riferire piú che di inventare. Questa dichiarazione non è un mettere le mani avanti nei confronti di chi legge, ma la semplice spiegazione delle ragioni che mi hanno spinto a questa avventura letteraria. Perché, mi si creda, qualcosa di avventuroso, inteso come casuale, imprevisto, c’è stato nel corso dei quattordici anni in cui sono stato coinvolto nella storia raccontata nelle pagine che seguono. Almeno tre le occasioni fortuite che hanno rafforzato in me l’idea di portare avanti questa impresa e in ognuna di queste ci sono state persone determinanti: a loro va il mio ringraziamento.