Chi ha paura del lupo cattivo?

Musatti Cesare

Chi ha paura del lupo cattivo?

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Uno dei libri più godibili del padre della psicoanalisi italiana.

Una galleria di personaggi, di situazioni, di testimonianze, di eventi pubblici, di memorie private.

Musatti tenta di volta in volta di inquadrare il suo bersaglio nel mirino, quando preme il grilletto scopriamo che colpisce nel segno e sempre col fuoco dell’ironia. Teatro scientifico e teatro dei caratteri si fondono in un’unica scena briosamente comica, puntigliosamente introspettiva, provocatoriamente drammatica. E il lettore, interlocutore e paziente al tempo stesso, guarda in faccia le proprie paure, quel “lupo cattivo” che dai vicoli della vita sociale o dal sottosuolo della vita interiore ostinatamente lo spia.


Quando arrivò [Musatti] era in corso l’assemblea generale, cioè la riunione plenaria di tutti gli ospiti dell’ospedale psichiatrico. Musatti si sedette in seconda fila, senza parlare. Fu subito attorniato da molte persone: qualcuno lo aveva riconosciuto, qualche altro gli domandava solo una sigaretta o i soldi per il caffè. Non volle parlare, né spiegare la sua visita: semplicemente ascoltava quella confusione ad un tempo allegra e drammatica. Lo guardavo da lontano: si era sprofondato su una poltroncina di velluto e accarezzava la testa rasata di un giovane autistico che gli stava appiccicato. Non era il gesto rituale di un vecchio stanco o annoiato che si stava per assopire, non aveva prevalso il disinteresse ma l’affettività. Se avesse parlato a quel microfono avrebbe creato una frattura con quel mondo che aveva imparato a comunicare e ad agire liberamente; con quelle carezze sulla testa di quel bambinone autistico Musatti era riuscito a mimetizzarsi, a scongiurare imbarazzi e finzioni, la sua presenza era parte di quel luogo e di quelle persone peraltro piú abituate al sospetto che alla confidenza. In fin dei conti egli si era seduto su quella poltroncina con un gesto abituale, senza clamore e quella naturalezza significava capacità di comunicazione, empatia, che altro non sono che strumenti necessari per capire.

(dall’Introduzione di Paolo Crepet)


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