Gli anarchici. Cronaca inedita dell'Unità d'Italia

Aldo De Jaco

Gli anarchici. Cronaca inedita dell'Unità d'Italia

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    Entrato Vittorio Emanuele a Napoli, l'Italia, come è noto era fatta.

    Disse il conte di Cavour (e si riferiva agli esiti della sua politica e in particolare, forse, al dissestato bilancio dello Stato): "l'Italia è fatta, tutto è salvo".

    Parallelamente a questa affermazione, certo troppo ottimista, si colloca di solito quella del marchese Massimo Taparelli D'Azeglio: "l'Italia è fatta, ora bisogna fare gli italiani". Aveva ragione il marchese, naturalmente.

    I posteri si sono pressoché dimenticati di lui, eppure il marchese - narratore di vicende eroiche esaltanti le poche tradizioni guerriere dell'italianità, pittore di affreschi storici di pari contenuto, scavezzacollo in gioventù e uomo d'ordine e nemico delle sette in età matura - meritava che i riflettori lo illuminassero meglio sulla ribalta della storia, lui che rappresentò "l'Italiano sopra tutti compiuto" (il che non è poco per un periodo in cui gli italiani erano ancora da fare).

    La frase di Massimo D'Azeglio comunque passa - di solito - sui libri di storia delle scuole medie e dunque è una frase che "incide", resta nella memoria, una frase che, a più di cento anni da quando fu pronunziata, sollecita una domanda nuova: l'Italia è fatta, ormai non ci sono dubbi, ma gli italiani? Si son "fatti" in questi cento anni gli italiani, e quando e come, approssimativamente?

    (...)

    "Quando si vuole interpretare in modo storico e concreto la massima di D'Azeglio "L'Italia è fatta, bisogna fare gli italiani", bisogna tradurla che, fatta l'unità geografica, si ha da fare l'unità morale, cioè la libertà. Ogni altra interpretazione è antistorica e assurda. Cosi D'Azeglio, senza intera coscienza, poneva la successione dei due problemi. Appare evidente, dalla storia di questi nostri ultimi cento anni e dalla pratica sociale di oggi, che il secondo problema, quello della libertà non è stato ancora risolto. Certo però la prima generazione che quel problema "oggettivamente" si pose fu la generazione dei Cafiero, dei Costa, dei Malatesta. Dopo di essa, è vero, non ebbe più alcun senso la "rivolta anarchica": ad altre piattaforme si affidava il compito di realizzare la libertà degli italiani. Tuttavia quella generazione resta - pur col suo breve arco di fallimenti generosi e con un corollario, poi, di gesti gratuiti di violenza - nella storia incompiuta della lotta per "fare gli italiani".

    dall'introduzione di Aldo De Jaco

     

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