La prima edizione de Gli Atomi apparve nel dicembre del 1912 e segnò una tappa importantissima dell’editoria scientifica: questo libro, tuttora di utilissima lettura, è allo stesso tempo un trattato rigoroso ed un saggio di seria divulgazione il cui obiettivo è forse magistralmente riassunto nella frase che appare nella prefazione di Jean Perrin alla prima edizione: «Spiegare il visibile complicato per mezzo dell’invisibile semplice».
Se gli strumenti per l’osservazione diretta di strutture atomiche e nucleari non erano, all’epoca, ancora disponibili nelle forme sofisticate che conosciamo oggi, non per questo mancava la possibilità di indagare sperimentalmente sul mondo microscopico. Alle tecniche sviluppate si sostituiva, spesso con risultati eccezionalmente brillanti, l’ingegnosità e l’abilità dello sperimentatore. E proprio questa è l’essenza de Gli Atomi, la qualità che ne fa un libro che supera il suo tempo, che parla ancora ai fisici di oggi stimolandone l’inventiva e la passione per i fatti.
Il ricordo di quello che un fisico ha fatto durante la sua vita è generalmente affidato a un epitaffio scarno e singolare, non consegnato alla pietra né alle carte celebrative; ma piuttosto messo in circolo, quasi fosse un luogo comune, utile però per intendersi: da un certo giorno in poi, un certo numero è di Avogadro, un certo angolo è di Brewster, un principio è di Archimede, un effetto è di Doppler, una legge è di Hubble, una teoria è di Einstein, un modello è di Bohr, una equazione è di Schrödinger e così via. I trattati sono densi di questi epitaffi che, spesso, gli studenti scambiano per valori assoluti e inequivocabili dimenticandone il contenuto.
Se ai fisici, gente sobria (almeno nella maggioranza), questo rapporto essenziale tra il nome e il fatto o l’idea può fare un piacere indicibile, l’usanza tuttavia non rende completamente giustizia né agli uomini cui spetta il privilegio né a quelli a cui la natura della scoperta rende difficile estenderlo. Perrin è tra questi ultimi.