Aleksej Maksimovic Peskov, che assunse il soprannome di Gorkij (l'Amaro) intorno ai trent'anni, costituisce tuttora un caso.
Tra il 1902 - quando divenne famoso con il dramma I bassifondi - e il 1936, anno della sua morte, nessuno nel mondo letterario fu piú osannato, rispettato e pagato di lui: nessuno piú di lui si propose all'estero, durante i suoi lunghi e dorati esili, come simbolo di libertà, mentre in patria veniva considerato l'esponente più autentico delle rivendicazioni sociali.
Di natura selvaggia e tuttavia sognatrice, innamorato della propria terra, che cantò con toni luttuosi, perseguitato da problemi di natura psicologica, rimase, malgrado la patina di mondanità, un rozzo, con una marcata tendenza alle atmosfere nàives, all'utopia e all'anarchismo.
Prima Lenin e poi Stalin (cui si deve forse la sua oscura morte) tentarono di farne lo scrittore ufficiale del comunismo, ed è questo che rende problematico il suo itinerario e lo colloca fra la critica e il dogma.