Il tentativo di seppellire una volta per tutte le dottrine che fanno riferimento alla legge naturale etichettandole come superate e logore è una tentazione che nella storia della filosofia del diritto è assai frequente.
Ma accade che quanto più si attacca con pervicacia ogni forma di giusnaturalismo tanto più questo prende vigore. Nella discussione odierna sulla legge naturale una posizione dottrinale che si segnala per l'interessante e peculiare costrutto teorico è quella del filosofo contemporaneo John M. Finnis, esponente di spicco della cosiddetta Scuola Neoclassica.
Secondo Finnis la ragione ha una natura intrinsecamente pratica, perché la ragione conosce il fondamentale principio autoevidente della natura umana: Il bene deve essere sempre perseguito, il male sempre rifiutato. Di conseguenza la razionalità pratica dichiara irrazionale qualsiasi azione che non abbia il bene come scopo.
In questo saggio Tommaso Scandroglio disegna un ritratto sintetico del pensiero di Finnis sulla legge naturale, mettendo in luce gli elementi di indiscussa originalità delle sue tesi, ma appuntandone anche ambiguità e aporie.
Finnis infatti compie un'operazione dai profili sicuramente innovativi, seppur rischiosa. Recupera il portato culturale dell'insegnamento di Aristotele e soprattutto di Tommaso D'Aquino, ma utilizzando metodologie di indagine proprie della analytical jurisprudence.
Una sintesi ardita dunque: contenuto mutuato nonché rielaborato dalla tradizione classica e scolastica, tecniche di ricerca derivate dall'ambito della scuola analitica. Sintesi che genera un duplice effetto.
Da un lato Finnis riesce nell'intento di attualizzare la teoria classica sulla legge naturale e renderla rispondente alla sensibilità moderna.
Su un altro versante però la fondazione di una morale naturale svincolata da un assetto metafisico - non radicata nella natura umana bensì in elementi caratterizzati da aspetti più vicini a dati empirici-esperienziali e alla sociologia descrittiva - espone tutta la costruzione teorica di Finnis a severe critiche: la liceità morale dell'atto si sottrae a criteri assoluti e universali e tende a trascolorare nei toni oscuri del situazionismo e del soggettivismo.