Scritto durante la rivoluzione del 1905-1907, e con riferimento alle dimostrazioni operaie del 1902 è stato a lungo il “libro” degli operai e delle loro lotte ma anche il libro dell’emancipazione di una donna semianalfabeta. La madre è un libro di memorie e come tutti i buoni libri di memorie, anch’esso incide nel vivo, dà al lettore la possibilità di familiarizzare con i personaggi, con le cose che vi sono raccontate. Condividere le pene, intrecciare un dialogo con gli uomini e con le donne che si muovono nelle sue pagine: a questo chiama il libro di Gor’kij e a questo risponde il lettore. Il quale vi trova una realtà poeticamente trasfigurata ma vera, che non ha niente a che vedere con quella mistificazione che poi fu chiamata realismo socialista. È una realtà che il lettore forse non sarebbe riuscito a scoprire e non avrebbe visto con altrettanta chiarezza se l’avesse affrontata da solo, senza la mediazione di un libro dove la poesia fa piú reali le cose. Per questo il libro è ancora vivo.
L’evoluzione della protagonista, da donna succube delle violenze di un marito ubriacone a donna emancipata, fiera del figlio, combattente di primo piano per la difesa dei diritti degli sfruttati, emerge con un crescendo lungo le 380 pagine. Così come emerge l’interessante intreccio con la figura di Cristo, non considerato come Dio, ma come predicatore della giustizia e dell’amore per il prossimo. «Ama il tuo prossimo come te stesso».
«Verranno i giorni felici – dice la madre diventata una attivista clandestina dei lavoratori in lotta contro le prepotenze dei padroni e dello Stato che li difende – Ci sono nemici cattivi, avidi, falsi che ci tengono prigionieri, ci legano, ci schiacciano. Contro tutto questo combattono i nostri figli, per amore di tutti, per amore della verità di Cristo».