Vygotskij ha colto nell’Amleto le storie di spettri che determinano e tormentano quello che nel suo ultimo scritto denominerà il «dramma vivente del pensiero verbale» (Vygotskij, 1934).
Un dramma scatenato da una realtà aliena e fuori controllo, che rimane indicibile, che non si rispecchia in parole in grado di mantenere un senso di realtà, che trova infine il suo tragico epilogo nella dissociazione.
Tutta la tragedia di Amleto viene ricompresa da Vygotskij nella contrapposizione tra due concise citazioni tratte dall’opera stessa: da un lato «parole, parole, parole», quelle tante parole che il principe di Danimarca rivolge inutilmente a se stesso per dare corpo al suo sentire e alla sua volontà; dall’altro «il resto è silenzio», il silenzio in cui si perde e rimane muto il senso del suo agire. Amleto non sarà mai il capitano della sua nave, ma piuttosto il fantasma di se stesso.
Quando ucciderà lo zio, omicida del padre e usurpatore del trono, lo farà in maniera quasi accidentale.
L’evento che dovrebbe costituire il culmine della tragedia passerà così quasi inosservato, mentre tutta la scena sarà presa dall’accorata supplica, rivolta in punto di morte all’amico Orazio, di trovare le parole giuste per raccontare l’autentico svolgersi delle vicende umane che hanno prodotto questa cascata di azioni così caotica, scellerata e mortifera. (Rossella Bloise)