Sin dai suoi inizi la «scienza economica» ha cercato di rispondere a una istanza (principio di economia) che rimanda al suo stesso oggetto oltre che a una esigenza di semplice buon senso: la possibile distinzione/discriminazione tra lavoro «produttivo» e «improduttivo».
Ma anche a tal proposito la «scienza triste» ha dovuto alla fine prendere atto di un suo ulteriore fallimento. In questo libro, Orati, accreditatosi come il massimo radicale sfidante il Gotha internazionale della economics, non solo rilancia il problema ma ne trova anche una soluzione, stimolata dalla crescente barbarie culturale che sta dietro al «problema pensionistico» e alla sua presunta universale (vedi la procedura di infrazione attivata dalla UE nei confronti dell’Italia a proposito del mancato adeguamento a 65 anni dell’età pensionabile delle donne) «risoluzione» attraverso il «rimedio» dell’allungamento dell’età pensionabile. Barbarie rinvenibile nella circostanza che vede non avvertita a proposito di un tale problema l’esigenza di andare alla radice della mancata distinguibilità del lavoro «produttivo» da quello «improduttivo» e quindi l’esigenza che gli sta dietro: di andare all’origine del più generale fallimento della scienza economica.
La «soluzione» dell’allungamento della vita lavorativa non solo non risolve il «problema pensionistico» ma, come sempre capita per una «scienza» che pontifica e prescrive senza adeguatamente conoscere, rischia molto seriamente di bloccare l’intero processo dello sviluppo economico con collegata exit strategy dalla attuale profonda crisi economica globale.
Approssimandosi certamente alla verità il giudizio (per il quale il libro fornisce la chiave analitica) secondo cui nei contesti di più antico lignaggio capitalistico in via di deindustrializzazione la frazione di lavoratori «produttivi» rappresenta una quota man mano decrescente dei lavoratori occupati. Un ulteriore allarme che impone una critica impietosa ai fondamenti «scientifici» della «Globalizzazione».