Questo libro racconta la storia di una città povera e disperata, abbandonata alla sua fame, prigioniera di un nemico che aveva ricevuto l’ordine di ridurla «fango e cenere» (ed era un nemico che aveva già dimostrato molte volte di saper eseguire spietatamente certi ordini); una città colpita e sfregiata da più di cento bombardamenti, che aveva visto morire migliaia di suoi abitanti e si era infine ribellata – ed è stata la prima grande città d’Europa a farlo – contro gli occupanti impegnati a rastrellare le sue case per togliere alla moglie il marito, ai genitori il figlio, e mandarli in Germania a lavorare e a morire per la causa di Hitler.
[…] durante i 45 giorni di Badoglio, qualcosa era cambiato, e le Quattro Giornate lo avrebbero appunto dimostrato, in quanto esse «sono certo il frutto di una ribellione istintiva, ma sono in pari tempo l’espressione della consapevolezza popolare che per salvare le proprie vite, le famiglie, la città, non esisteva altra via che quella di rispondere colpo su colpo, di accettare la guerra e di farla»: sicché, «quando il 30 settembre i tedeschi furono obbligati dagli insorti a rilasciare 47 ostaggi rinchiusi nello stadio del Vomero, si verificò in Italia la prima capitolazione dell’esercito nazista di fronte a combattenti civili. A tutta l’Italia occupata e anche alle città europee sotto il terrore tedesco l’esempio di Napoli disse che l’insurrezione popolare era possibile, che altre città avrebbero potuto liberarsi con le proprie forze: dopo le giornate di Napoli l’esercito germanico si sente un occupante insicuro, a cui trema la terra sotto i piedi, un occupante che paventa soprattutto la sollevazione dei grandi centri urbani».
[…] «di certo non furono gli scugnizzi a battersi contro i tedeschi ma un selezionato numero di uomini, reduci da tutti i fronti oppure semplici civili, decisi a riscattare le debolezze e le colpe passate. Le Quattro Giornate furono un crogiuolo di episodi e di iniziative con un lieve fillo unitario, ideologicamente collegabili alla naturale insofferenza del popolo napoletano verso ogni forma di oppressione. Furono anche una vampata di passione, di quelle che restituiscono l’onore a chi sta per perderlo. Una rivolta schiettamente popolare di enorme portata morale e politica poiché insegnava a tutti che la lotta di resistenza poteva e doveva finalmente iniziarsi».
[…] «i napoletani combattevano per la libertà, combattevano contro l’oppressione e la miseria; concludevano con la rivolta armata la lunga, mai cessata lotta di Napoli contro il fascismo, e ancora contro l’arretratezza secolare, e contro la vecchia e ingiusta struttura dello Stato italiano».