Marcello Massenzio
L'Ebreo errante di Chagall. Gli anni del nazismo
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Da storica, posso dire di aver molto appreso da questo sapiente intreccio tra il mito, con il tempo immobile che lo caratterizza, e la storia, con il tempo che è sì in continuo movimento ma è anche aperto alle cancellazioni, alle rimozioni, all’oblio. Certo, per tracciare una trama tanto compiuta bisognava possedere gli strumenti di cui si avvale l’Autore, la sua capacità di passare attraverso ponti invisibili dal tempo al non tempo, dall’immagine alla parola al pensiero. Di padroneggiare molteplici campi del sapere. [.....]
Un percorso completo quello che Massenzio ha tracciato in queste pagine, delle metamorfosi del mito dell’Ebreo errante, delle sue diverse funzioni. Fino al terribile Novecento della Shoah. Un percorso che attraversa molti aspetti della cultura sia cristiana che ebraica, in primo luogo l’arte figurativa, con Chagall, a cui ancora in questo libro, come già nei suoi scritti precedenti, l’autore dedica pagine emozionanti, in cui il fascino esercitato su di lui dal pittore si riverbera sul lettore incantandolo. E poi, la letteratura, dai racconti cristiani medioevali all’Ebreo errante di Goethe, a Borges, Apollinaire. E le pagine straordinarie qui dedicate al mito nel dopo Shoah, con il Maestro di Wiesel e di Lévinas, il Vecchio: nella realtà il rabbino Mordechai Shushani, il personaggio misterioso che negli anni del dopoguerra si propone come una veste nuova dell’antico mito, quella di rappresentare la straordinaria energia identitaria del popolo ebraico, condizione della sua sopravvivenza alla catastrofe di Auschwitz.
La riflessione finale [...] ci interroga sull’oggi: il passaggio dal mito alla storia e poi di nuovo al mito, l’intreccio sapiente tra questi diversi registri interpretativi, rende possibile che il tempo non si consumi, che quel passato, la Shoah, diventi, come scrive Massenzio, un “passato che non passa”.
(dalla Prefazione di Anna Foa)