L'estrema tensione dei dialoghi, la violenza dei colori, l'icasticità delle immagini, la durezza a volte esasperata del linguaggio, ci conducono nella New York cupa e violenta di fine Ottocento.
Composto in soli due giorni e due notti da un ragazzo appena ventenne, Maggie è da molti critici considerato il capolavoro di Stephen Crane, uno dei grandi scrittori della letteratura americana. Narra la New York povera del quartiere di Bowery, dove vivono gli immigrati, si rifugiano i ladri, pullulano le prostitute, scenario in cui si svolge il dramma di Maggie, costretta al suicidio per sfuggire alla prostituzione.
"Mi sono convinto che quanto più l'autore si avvicina alla realtà, tanto più grande artista egli diventa", scriveva Crane proprio a commento di questo testo. E nel racconto, come è scritto nella prefazione di Luciano Bianciardi, "sentiamo la verità dell'esperienza di vita che c'è sotto. (...) Una verità più intima, per la quale lo scrittore ha partecipato alla sostanza di quella vita in quel quartiere, ne ha assaporaro e inteso la ferocia, la barbarie, la corda di viltà, di paura che la sottende". Tutto questo è diventato una costante dell'opera di Crane, ma anche il germe di una tradizione che porterà a Hemingway, Lewis, Fitzgerald.