Gli scritti di un uomo di pensiero, di un umanista, o se si vuole di un esponente delle “scienze morali”, come un tempo si definiva nelle accademie della fine ’800 e del secolo scorso l’insieme delle discipline non classificabili tra le “scienze della natura”, non si misurano sulla quantità della documentazione erudita né sulla bibliografia citata e prodotta, destinate inevitabilmente a divenire presto obsolete, ma sulla base di una qualità difficile se non impossibile da misurare, fondata su ciò che suscita, sul grado di coinvolgimento, sulla capacità di stimolare riflessioni, provocare reazioni, fornire schemi, modelli, che nonostante il tempo rimangono attuali, indipendentemente dalla lingua in cui sono stati redatti.
E Paides e parthenoi, a dispetto dei contemporanei fanatici della “valutazione” statistico-quantitativa, possiede quella qualità.