Oggi la scienza vanta poteri tecnologici quasi illimitati che suscitano speranze e, più ancora, timori. Ne è derivato un impulso alla produzione neocapitalistica che, del pari, insegue un'accumulazione illimitata, ma aggrava gli squilibri sociali e ambientali entro uno spazio ormai mondializzato. S
arebbe insensato limitare la libertà della ricerca teorica. Ma la metodologia delle scienze risulterebbe rinvigorita se un'ipotetica umanità in armonia con se stessa e con la natura fosse riguardata - anche dai saperi e dal loro statuto operativo - come pietra di paragone per una definizione teorica preliminare del mondo fisico e vivente in generale e se, poi, con procedimento inverso, la stessa umanità fosse a sua volta ridefinita per il suo radicamento nella sostanza fisica e biologica. Non dunque dall'umano presente, ma da un'idea regolativa di un'umanità sociale utopicamente trasformata muoverebbe - retrospettivamente, in modo avveduto - la prima cognizione di ogni altra realtà.
Ma dalla consaputa fisicità originaria e costitutiva di tutti gli esseri dovrebbe farsi strada un'opposta (e complementare) interpretazione realistica dello stesso mondo umano e del suo agire teleologico. "Trasformare" e perciò "intepretare", con Vico e con Marx. Filosofia della prassi canone di ogni ermeneutica. Nel primo percorso, un'etica farebbe da guida a un'ontologia; nel secondo, l'ontologia ci ricondurrebbe all'etica, ossia alla volontà collettiva di un kantiano "regno dei fini", nel quale individui liberi e liberamente associati potessero abitare una Terra pacificata e eco-riciclata.