Icilio Vecchiotti
Storia del Buddhismo indiano. Vol. II - Il Grande Veicolo e Nagarjuna
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Il discorso buddhistico diventa ora estremamente complesso, dato che ha alle spalle non solo secoli di speculazione brahminica, ma anche secoli di meditazione h(nayanica. Non si insisterà mai troppo sulla funzione logico-diacronica, che appare negata dalle «ricerche» degli orientalisti d’accampamento, la cui prospettiva coincide con quella colonialistica, che tutto identifica nella confusione di un unico nebbioso misticismo. Il cammino buddhista che abbiamo alle spalle è quello del primo movimento della ruota. Solo all’interno del Mahayana si tennero il secondo e il terzo giro, ma le prime forme mahayaniche sono ancora nell’orbita del primo giro.
Da questo punto di vista, la riflessione nagarjuniana rappresenta davvero una svolta. Ma ad essa non si arriva d’un salto. La filosofia che si è stabilita saldamente nel pensiero h(nayanico è una filosofia della relazionalità, visto che la teoria del duodècuplo nesso causale è una teoria della relazionalità e come tale era sembrato porsi il buddhismo stesso, sulle parole del suo Fondatore. Ma la cosa non era affatto esente da problemi.
Se il mondo è relazionalità, come fa questa a dissolversi nel fluire, se è vero, come è vero, che solo il fluire vorticoso delle cose può considerarsi reale? Non rappresenta la relazione un modo del fermarsi (oltreché del formarsi) del flusso? Una teoria del divenire non imbriglia con ciò stesso il divenire stesso?